IL CONSIGLIO DI STATO
   Ha pronunciato la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n.  11082/97,
 proposto  dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del
 Presidente in carica pro-tempore e dal Ministero  delle  finanze,  in
 persona  del  Ministro  in carica pro-tempore, rappresentati e difesi
 dall'Avvocatura generale dello  Stato,  presso  cui  sono  per  legge
 domiciliati, in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
   Contro  Ernesto  Del  Gizzo,  rappresentato  e difeso dall'avvocato
 Paolo Ricciardi presso il cui studio e' elettivamente domiciliato  in
 Roma,  viale  Tiziano  n.  80,  per l'annullamento della sentenza del
 Tribunale amministrativo regionale per  il  Lazio  -  sezione  2,  25
 giugno-18  settembre  1997, n. 1435/97, resa inter partes, notificata
 il 10 novembre 1997.
   Visto il ricorso con relativi allegati.
   Visto l'atto di costituzione in giudizio di Del Gizzo Ernesto.
   Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno  delle  rispettive
 difese.
   Visti gli atti tutti di causa.
   Data  per  letta  alla  pubblica  udienza  del  19  maggio  1998 la
 relazione dal  consigliere  Sabino  Luce  e  sentiti,  altresi',  gli
 avvocati  Fiumara  (Avv.  Stato)  e  Ricciardi, ciascuno per le parti
 rispettivamente rappresentate;
   Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
                               F a t t o
   Con decreto del Presidente de'lla Repubblica del 28 febbraio  1997,
 registrato alla Corte dei conti il 7 marzo successivo, il dr. Ernesto
 Del Gizzo, direttore generale dei monopoli di Stato, veniva collocato
 a riposo per motivi di servizio.
   Contro  il  provvedimento  indicato,  nonche'  ogni  relativo  atto
 presupposto,  connesso  e  conseguenziale,  il  Del  Gizzo  proponeva
 ricorso  al  Tribunale amministrativo regionale per il Lazio che, con
 sentenza n. 1435/97, deliberata il 25 giugno 1997 e depositata il  18
 settembre   successivo,   accoglieva   il  ricorso  ed  annullava  il
 provvedimento di licenziamento impugnato.
   Contro  l'anzidetta  decisione  la  Presidenza  del  Consiglio  dei
 Ministri  ed  il Ministero delle finanze proponevano appello a questo
 Consiglio di  Stato  con  ricorso  notificato  il  4  dicembre  1997,
 chiedendo  la  riforma  dell'impugnata  sentenza con la reiezione del
 ricorso di primo grado. Nella resistenza del Del Gizzo, che chiedeva,
 invece, la  conferma  dell'impugnata  decisione,  il  ricorso  veniva
 chiamato  all'udienza  odierna  al  cui  esito  veniva  trattenuto in
 decisione dal collegio.
                             D i r i t t o
   Con  il  primo  motivo  del  ricorso  al  Tribunale  amministrativo
 regionale, il dott. Del Gizzo deduceva l'illegittimita' dell'art. 20,
 comma  9  ultima  parte,  del  d.lgs.  3  febbraio  1993,  n. 29, per
 contrasto con gli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione, con
 riferimento all'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (di delega
 al Governo per la razionalizzazione e la revisione  delle  discipline
 in  materia...    di  pubblico  impiego...),  per  eccesso di delega.
 Secondo il ricorrente - che ha riproposto la questione con  il  primo
 motivo  della  parte  in  diritto  della  memoria di costituzione nel
 presente giudizio  -  l'indicato  decreto  legislativo  violerebbe  i
 principi  ed i criteri direttivi fissati dal Parlamento, in quanto ha
 reintrodotto, per i dirigenti dello Stato, il "collocamento a  riposo
 per  ragioni  di  servizio", laddove la legge di delega prevedeva, in
 caso  di  mancato  conseguimento  degli  obiettivi  della   gestione,
 soltanto   "la   rimozione   dalle  funzioni  ed  il  collocamento  a
 disposizione".
   La  proposta  questione  di  legittimita' costituzionale, oltre che
 rilevante, non appare manifestamente infondata.
   Quanto alla rilevanza, e' sufficiente considerare  che  l'impugnato
 provvedimento   di   collocamento   a  riposo  del  Del  Gizzo  trova
 giustificazione   nella   norma    sospettata    di    illegittimita'
 costituzionale;  di modo che un'eventuale dichiarazione di fondatezza
 della   sollevata   questione   implicherebbe,   per    cio'    solo,
 l'accoglimento    del    ricorso   proposto   dal   dipendente,   con
 l'annullamento del provvedimento impugnato,  perche'  adottato  sulla
 base di una disposizione di legge invalida.
   Quanto,  poi,  alla  non  manifesta infondatezza della questione di
 legittimita' costituzionale, va osservato che  la  legge  23  ottobre
 1992,   n.   421,   di   delega  al  Governo,  tra  l'altro,  per  la
 razionalizzazione della disciplina del pubblico impiego, all'art.  2,
 primo  comma,  lettera  g)  n.  3,  individua  nella "rimozione dalle
 funzioni  e  il  collocamento  a  disposizione"  la  sanzione  per  i
 dirigenti,   "in   caso  di  mancato  conseguimento  degli  obiettivi
 prestabiliti dalla gestione".
   La legge delegata (d.lgs. 3 febbraio 1993, n.  29),  al  contrario,
 all'art.  20,  n.  9,  nel testo sostituito dall'art. 6 del d.lgs. n.
 470/1993, stabilisce che "in caso di responsabilita'  particolarmente
 grave o reiterata, nei confronti dei dirigenti generali o equiparati,
 puo'  essere disposto... (anche) il collocamento a riposo per ragioni
 di servizio...".
   Con la conseguenza che sembra giustificato il sospetto  che,  cosi'
 operando,  il  legislatore  delegato,  reintroducendo  l'istituto del
 collocamento a riposo per ragioni di servizio,  come  previsto  dalla
 previgente  abrogata normativa (art. 19, settimo comma del d.P.R.  30
 giugno 1972, n. 748,  emanato  in  attuazione  della  delega  di  cui
 all'art. 16, secondo comma, lettera f), della legge 18 marzo 1968, n.
 249),  abbia  esorbitato  dai  limiti  della delega, in violazione di
 quanto al riguardo disposto dagli artt. 76 e 77 della Costituzione.
   Dubbio,  peraltro,  avvalorato  dal  fatto  che  la  stessa   Corte
 costituzionale,  con  la  sentenza  n.  313, del 25 luglio 1996 - nel
 riconoscere   la   ragionevolezza   della   diversita'   di    regime
 (pubblicistico  per i dirigenti generali e privatistico per gli altri
 dirigenti),  operata  dal  legislatore  del  1992  all'interno  della
 categoria  dirigenziale  -  sembra aver esplicitamente sostenuto che,
 pur essendo il meccanismo di  valutazione  dei  risultati  comune  ad
 entrambe  le  categorie,  sussista, comunque, la differenza (peraltro
 coerente con le  due  matrici,  pubblicistica  e  codicistica,  delle
 situazioni  soggettive)  del sistema sanzionatorio, costituito, da un
 lato,  dalla  (sola)  messa  a  disposizione   e   dall'altro   dalla
 risoluzione del rapporto.